Antonio Floro Flores ha messo la parola fine sulla sua carriera da calciatore qualche settimana fa. Ospite a 'Stadio Aperto' su TMW Radio, ha commentato le ultime vicende del calcio italiano, partendo però dai primi giorni post ritiro.
Ti stai godendo la tua libertà ritrovata?
"Devo dire di sì, finalmente un po' di relax dopo 25 anni fatti al massimo della professionilità. L'unico rammarico è non essere potuto andare in vacanza con la mia famiglia complice un corso da allenatore da seguire e dunque ancora non riesco a staccare".
Ripercorriamo un po' la tua carriera: l'emozione di essere stato profeta in patria con la maglia del Napoli.
"Una sensazione che tutti i napoletani dovrebbero vivere. Una gioia immensa calcare il palcoscenico di cui sono stato tifoso. Già salire quelle scale del San Paolo, indossare la maglia che amavi fin da bambino. Spero di poterlo raccontare a mio figlio, perché è qualcosa di straordinario. Il ricordo più bello che mi viene in mente è l'emozione in un'amichevole contro la Lazio e con 50mila allo stadio. Ho fatto gol ed è stata una sensazione bellissima far gol a Peruzzi in quell'occasione. Poi ovviamente il debutto in A con Mondonico, sono emozioni che si vivono una volta nella vita".
Il senso di essere napoletano non è stato scalfito dal tuo addio burrascoso alla città...
"Sono state dette tante bugie che per anni ho dovuto tenere dentro per il bene mio e del club. L'importante è avere la coscienza apposto, ho fatto di tutto per rimanere lì, chi ci crede bene. So cosa vuol dire essere cacciato dai ristoranti o portare la macchina ogni settimana dal carrozziere perché distrutta da tifosi che si sentivano traditi. La mia educazione e il rispetto hanno sempre avuto la meglio, non avrebbero mai capito la mia verità in quei momenti. E allora la tengo per me, non devo dimostrare nulla a nessuno. Va bene essere innamorati della squadra, ma prima di tutto veniva il calcio, ho aspettato anche troppo".
Un'altra data indelebile è il 21 febbraio 2004, primo gol in A con la maglia della Samp. Te lo ricordi bene?
"Me lo ricordo perché ci volevano i braccioli per giocare (ride, ndr). Mi buttò nella mischia Novellino e feci gol. Pensavo di avere più soddisfazioni dopo quel momento, ma non è bastato per avere più di spazio".
Ma con Colantuono a Perugia arrivò la tua definitiva consacrazione.
"Lì per aspettare il Napoli sono stato fermo cinque mesi. Avevo 19 anni, non mi allenavo e al primo allenamento a Perugia mi sono strappato. Da lì sono stato fuori tanto tempo per un buco nella gamba. Sono sofferenze che però mi hanno segnato e formato nel diventare il calciatore che sarei stato".
Il biennio ad Arezzo è stato un punto di ripartenza, molte difese ti ricordano come un incubo.
"Se fossi rimasto ad Arezzo saremmo andati in Serie A. Con Abbruscato ci intendevamo alla perfezione, c'era grande rispetto, sarebbe stato qualcosa di bello. Ma come ogni cosa nel calcio conta più il lato economico e non se ne fece nulla".
Che ci puoi raccontare dell'esperienza con Conte e Sarri ad Arezzo?
"Conte era il primo anno che allenava da professionista, si vedeva era preparato ma con una mentalità ancora troppo da calciatore. Dopo essere tornato dall'esonero ha creato un bellissimo rapporto coi calciatori, è cambiato radicalmente. I secondi sei mesi per me con Conte sono stati i più importanti, anche oggi quando c'è la possibilità ci sentiamo e parliamo molto. Negli anni mi ripeteva spesso come un calciatore come me non fosse in Nazionale. Siamo in grande rispetto e stima".
Ti aspettavi questa crescita di Sarri?
"Il mister è cambiato nel carattere, perché se avesse continuato ad avere quello visto ad Arezzo non avrebbe mai allenato. Voleva che tutti noi calciatori, avessimo le scarpe uguali, tipo molto scaramantico. Con lui ho creato un rapporto di sincerità, non tutti hanno queste caratteristiche. Ha cambiato modo di adattarsi ai calciatori, oggi non guarda neanche più le scarpe (ride, ndr). Era uno molto preparato e conosceva dettagliatamente tutti i calciatori a disposizione. Ogni volta che lo incontravo in giro per i campi raccontavamo tanti episodi divertenti. Di testa è cambiato molto, ora è uno dei più forti al mondo".
È vero che nel 2011 rifiutasti la Juventus?
"Avevo voglia di giocare, andando via dall'Udinese dei fenomeni Sanchez e Di Natale. Chiesi di poter partire, volevo continuità e scelsi il Genoa. Avevo paura di andare alla Juve e non giocare, a quel punto non sarebbe cambiato nulla. Sono andato al Genoa, lì serviva un attaccante e raggiunsi la doppia cifra. Se fossi rimasto in rossoblù mi sarebbe cambiata la vita, ma con certi personaggi nel calcio bisogna accettare quello che succede. Se fosse dipeso da me sarei rimasto sempre al Genoa avrei fatto il salto di qualità per un grande club. Per scappare da Guidolin accettai il Granada, ma avrei anche accettato di andare in guerra in quel momento...".
A quanto pare non c'era un gran legame con Guidolin.
"Per me il calcio è la vita, il lato umano è importante e guardo soprattutto il rispetto per le persone. Spero mai di incontrarlo per strada, ha rischiato di rovinarmi la carriera, sono andato via per scappare da lui. Io e la mia famiglia a Granada affrontammo tante difficolta prima di andare al Genoa. Vedevo la mia carriera in frantumi per una scelta sbagliata, ovvero quello di tornare all'Udinese con Guidolin".
A Sassuolo si riapre una nuova vita?
"Sì, perché Di Francesco mi diede una grossa possibilità, sono cresciuto come persona riprendendo fiducia in me stesso. Ero al limite della depressione. Eusebio insieme al suo staff mi hanno ridato il sorriso e li ringrazierò per tutta la vita".
Gli ultimi anni al Bari e alla Casertana cosa ti hanno lasciato?
"Bari la riferei altre cento volte, ho trovato una piazza che mi desse nuovi stimoli. A Bari mi sono risentito giocatore, ti fa sentire importanti. Unica grande macchia è quell'infortunio e quella voglia di tornare che ha peggiorato solo le cose. Nonostante abbia giocato poco mi sono ritrovato in un gruppo fantastico e una grande squadra. Caserta un po' come tornare a casa, dalla famiglia. C'era un progetto e tante cose che vanno come tu vorresti".
Come ti vedi in futuro, cosa ti intriga?
"Vorrei lavorare coi bambini, ma ho altre aspettative. Oggi gli insegnano ben poco nelle scuole calcio e questo è grave. Ormai non ti insegnano a palleggiare col piede sbagliato, ma vanno oltre. Le fondamenta non ci sono e continuo a vedere tante mancanze".
Vorresti diventare più Conte o Sarri?
"Se riuscissi a prendere la cattiverà di Conte e la qualità tattica di Conte, finirei per allenare la Nazionale (ride, ndr)".